Il Chierici di Roberto Tassi: “mano schietta e occhio fedele” - di Antonio Brighi

Le celebrazioni legate al centenario della morte del pittore reggiano Gaetano Chierici (1838-1920), che vedono schierato in prima fila il Liceo intitolato alla sua memoria, possono offrire l’occasione per riflettere, oltre che sulle opere del maestro, sulle pagine critiche dedicate loro negli ultimi anni: il tema delle forme e degli strumenti della comunicazione è infatti nodale per la scuola, chiamata, oggi più che mai, ad impegnarsi nel colmare il gap creatosi tra il linguaggio alato degli specialisti e le nuove generazioni, vittime di un drammatico processo di impoverimento culturale e lessicale.

di Antonio Brighi

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Vittorio Sgarbi, nel suo Vedere le parole. La scrittura d’arte da Vasari a Longhi (Bompiani, Milano, 2005), celebra in modo appassionato il valore assoluto delle ecfrasi dedicate da Roberto Longhi (1890-1970) alle opere d’arte: «ci sono pagine di Longhi talmente poetiche, talmente forti», annota Sgarbi, «che potrebbero quasi fare a meno del testo pittorico che le ha motivate[,] e questo è il vero scopo della critica[, vale a dire quello] di formare un nuovo corpo che si affianca al quadro e sta in piedi da solo». Se è davvero difficile, o meglio impossibile, raggiungere i livelli della prosa longhiana, frutto di un talento smisurato e di un impegno esclusivo volto a che «la parola scritta non avesse a rivelare un cuneo d’ombra tra la posseduta conoscenza di un dato e la possibilità di comunicarlo, [né] a scontare neppure un grado di scadimento verso il generico»1 , altri grandi protagonisti della scrittura d’arte ci hanno saputo offrire contributi capaci di resistere al logorio inesorabile degli anni, e di arrivare fino a noi dotati di una straordinaria capacità comunicativa. Tra questi attori ispirati spicca Roberto Tassi (1921-1996) che, medico di professione ma entusiasta esegeta d’arte per vocazione autentica, «a differenza di quasi tutti coloro [i quali] si interrogano sulla pittura per parlarne, o per scriverne[,] scriveva per spiegare a se stesso e [ai] lettori come stessero le cose[, argomentando] con quella chiarezza che trovava forma in polite definizioni rimaste memorabili[, e agendo sempre con un] senso della misura[, con] una calibrata ed elegante sprezzatura [così lontane dal ritmo franto, nervoso, sempre di spigolo, di cresta, del suo adorato] maestro, Francesco Arcangeli»2 . Tassi, redattore di Paragone (la famosa rivista d’arte e di letteratura fondata da Longhi nel 1950), e dal 1977 collaboratore del quotidiano la Repubblica, non è mai stato un sistematico, privilegiando il saggio breve, l’intervento episodico, la definizione di una situazione, di un mondo, di una singola personalità, spesso e volentieri legati allo snodo problematico tra Otto e Novecento, tra modernità ed età contemporanea: e proprio lui, «indagatore dell’universo estetico mai aridamente intellettualistico, e sempre umanamente coinvolto con le ragioni dell’arte»3 , firma il testo Gaetano Chierici, pittore di microstoria, posto a introduzione del catalogo della fondamentale mostra antologica, allestita a Palazzo Magnani nel 19864 . Il coinvolgimento in una simile impresa di una voce narrante del calibro di Tassi sembra, di primo acchito, tutto fuorché automatico: infatti, nonostante nell’ultimo cinquantennio il processo di rivalutazione dell’Ottocento italiano abbia fatto giustizia di giudizi eccessivamente tranchant emessi a sfavore di quella fase della nostra cultura figurativa, non può sfuggire come Chierici, anche in occasione di rassegne fin troppo benevole verso interpreti precedentemente demoliti dalla penna di un Longhi, convinto fautore del primato della linea Courbet-Monet5 , sia sempre rimasto alla porta, stante la sua insistita dedizione alla pittura di genere, un ambito dal quale, per ammissione di Renato Barilli, «venivano, [e] vengono tuttora miasmi, bassezze, lenocini, contro cui conviene mantenere la guardia [alta]»6 . Tassi, sin dall’esordio del suo intervento, ammette le “difficoltà” della produzione di Chierici, cui sarebbe mancato «il giudizio e lo studio di una critica seria», messa in allarme da «un’opera il cui successo sembrava attribuibile alla sua piacevolezza e al suo sistema di racconto»: del resto, convinto della necessità di «combattere la frantumazione [del sapere,] poiché la cultura è unità, armonia, cura e possibilmente risanamento della frantumazione», Tassi ci appare sempre particolarmente attento al tessuto dei cosiddetti “minori”, delle figure dimenticate o periferiche, dato che «la storia dell’arte si sviluppa in una trama sottilissima intricata e folta di fatti, di persone e di opere, la cui conoscenza quanto più è diffusa e capillare, tanto più facilmente permette chiarimenti di critica, di giudizio, di scelta». Per riscattare la credibilità dell’artista reggiano il critico estende allora il discorso all’intera pittura di genere e, non senza «qualche disagio», tenta di proporne una piena riabilitazione, garantendole una pari dignità rispetto agli esiti del ritratto, della natura morta, della pittura di storia e persino dell’amatissimo paesaggio: facendo leva su di una definizione di Max Friedländer (1867-1958), secondo la quale «la pittura storica riguarda ciò che è avvenuto una volta in un determinato luogo, [mentre quella] di genere ciò che avviene ogni giorno», Tassi teorizza il superamento dell’imperativo categorico che vincola «a cercare ovunque l’assoluto», anche perché quest’ultimo, potenzialmente nascosto «ove meno uno se lo aspetta», cioè nella dimensione aneddotica del quotidiano, consentirebbe di elevare Chierici al rango di «pittore di microstoria». Sempre grazie a Friedländer, che puntualizza come «vero tema della pittura di genere [sia] la condizione, non l’evento», Tassi giunge ad affermare che «l’episodio, nella pittura di Chierici, è solo apparentemente il vero tema[, perché] esso è talmente inserito e fuso nell’ambiente, nell’atmosfera, nel tempo, nella storia minore e minima, nella condizione, da far tema con tutto questo. Anzi», prosegue, «se si riesce ad astrarre o a deviare l’attenzione dall’episodio, a non vederlo, a non vedere di esso almeno la parte più riduttiva, più semplice, non i personaggi che […] in quella scena vivono e devono esserci, ma i loro rapporti e i loro atti, che […] pure […] possono risultare» – è costretto suo malgrado a confessarlo – «per la troppa piacevolezza, per il troppo sentimentalismo, per la carenza di pensiero o di riscatto poetico, un poco falsi, se si riesce a [porre] tra parentesi questa parte più ingenua, si potrà assistere a uno scambio di ruoli tra episodio e ambiente, e veder questo conquistar la preminenza, intensificare la forza poetica, allargarsi a significati più vasti». Ciò detto, per Tassi, perdutamente innamorato, al pari di Longhi, di Francesco Arcangeli (1915-1974), di Giovanni Testori (1923-1993), della “linea lombarda” dell’Arte Italiana, caratterizzata da «senso della realtà, […] della materia palpitante di vita[, e dallo] spirito del naturale» (un fil rouge che si può ripercorrere, attraverso i secoli, dal Romanico di Wiligelmo su su fino all’Informale di Ennio Morlotti), per un critico che traguarda questo settore di ricerca entro la cornice più ampia dell’arte di natura e di realtà, e di conseguenza dedica gran parte delle proprie energie allo studio della pittura di paesaggio, specie dell’Ottocento, dal Romanticismo, al Realismo, all’Impressionismo, il contributo su Chierici può apparire davvero eccentrico. Tuttavia non bisogna tralasciare un’altra parola-chiave indispensabile per penetrare nella mente di Tassi, ovvero “umanità”: ed è il «senso dell’umano che rende Tassi così sensibile alla pittura di interni, da Jan Vermeer a Edouard Vuillard, da Pierre Bonnard a Gianfranco Ferroni»7 , pittore contemporaneo, quest’ultimo, che come Chierici, ma un secolo dopo, stende il suo tessuto di segni con «un’attenzione quasi maniacale», e «quanto più questa vicenda di creazione si [fa] sottile e quasi invisibile, ma certa, tanto più l’opera [appare] abitata dalla bellezza e dallo spirito; come se nel lento deporsi, nella ripetizione, nella monotonia, potesse più agevolmente avvenire il trapasso, dall’autore all’opera, di quei valori»8 . Tassi si dice certo che la stanza dell’abitazione rurale in cui Chierici, giunto alla piena maturità, orchestra sapientemente le composizioni più ambiziose, con gli arredi, gli oggetti, i segni della vita, gli animali, i vestiti dei personaggi, i giocattoli dei bambini, costituisca «come una grande descrizione, un lungo poema o, se si vuole, un ininterrotto discorso sociologico, della casa, della vita e della cultura contadina», e che occorra sottolineare con quanta determinazione il pittore reggiano si concentri, quasi fino all’ossessione, su questo tema, punto di forza della sua poetica. Chierici, conclude Tassi, merita il nostro apprezzamento perché «suscita un mondo, e in esso si chiude: è un mondo ristretto, ma colmo di umanità; egli ne conosce le leggi e il destino, lo indaga, ne approfondisce la struttura, i sentimenti, la vita e le sue ragioni primarie […]. Protegge [quell’universo] da ogni intrusione; la natura [rimane] esterna, se ne avverte la presenza che avvolge e che preme attraverso i segnali delle sue luci filtrate dalle porte semichiuse, penetranti dalle finestre, o attraverso frammenti e oggetti che servono al lavoro e alla vita dell’interno. […] La pittura e la descrizione minuta, precisissima, [dell’ambiente-palcoscenico creato per i] pochi temi, ripetuti, variati, ma essenziali[, rappresentano il punto alto e lirico nell’arte del maestro]. Per lui ogni cosa è uguale, i bambini, gli animali, gli utensili, gli oggetti e le pareti che li contengono, ogni cosa ha la sua durata, funzione e nobiltà; ed egli[, erede ideale della tradizione olandese del Seicento,] dipinge ogni cosa con uguale scrupolo, pazienza e amore: questo è il fondamento della […] poetica [di Gaetano Chierici che], per far conoscere quel mondo che gli stava a cuore, usò mano schietta e occhio fedele»

1. Giovanni Romano, Il Cinquecento di Roberto Longhi. Eccentrici, classicismo precoce, «maniera», in Storie dell’arte. Toesca, Longhi, Wittkower, Previtali, Donzelli, Roma, 2003, pp. 23-62, in particolare p. 27

2. Davide Pugnana, Roberto Tassi scrittore d’arte, postato il 31/10/2020 su WordPress.com

3. Così lo ricorda, commosso, Claudio Strinati, nell’articolo in memoria dal titolo Roberto Tassi. Stile e passioni di un critico, in la Repubblica, 05/8/1996

4. Gaetano Chierici 1838-1920, a cura di Elio Monducci, Reggio Emilia, Tipolitografia Emiliana, 1986: il saggio di Tassi, dal quale è tratta la maggior parte delle citazioni che compaiono di seguito nel presente contributo, occupa le pagine 13-21

5. Si pensi, ad esempio, a Il secondo ‘800 italiano. Le poetiche del vero, coordinata da Renato Barilli e ospitata a Palazzo Reale di Milano nel 1988, o meglio ancora a Ottocento. Da Canova al Quarto Stato, tenutasi alle Scuderie del Quirinale a Roma nel 2008: qui, per verificare le forzature revisioniste in senso positivo, basta scorrere le ultime righe della nota di Antonio Paolucci introduttiva al catalogo, dove, con tono decisamente assertivo, l’autore sostiene che «l’Ottocento italiano non ha nulla da invidiare e non è secondo a nessuna altra civiltà artistica nazionale della nostra Europa»

6. Renato Barilli, Ragioni e percorso di una mostra, in Il secondo ‘800 italiano, cit., Mazzotta, Milano, 1988, pp. 11-28, in particolare p. 12

7. Claudio Zambianchi, Lo Spirito del Naturale e il Sentimento del Tempo, in Roberto Tassi, Figure nel Paesaggio. Scritti di critica d’arte pubblicati sulla «Repubblica», a cura di Paola Peracchia, Ugo Guanda Editore, Parma, 1999, vol. I, pp. XIX-XXIX

8. Roberto Tassi, A Conegliano un’ampia antologica di Gianfranco Ferroni, in la Repubblica, 12/01/1991, ripubblicato in Figure nel Paesaggio, cit., vol. II, pp. 549-552